Il Brigante Raimondo Sferlazza e il sequestro Fici

Il Brigante Raimondo Sferlazza e il Sequestro Fici

La FAMIGLIA FICI

Di probabili origini Genovesi, pervenuti a Marsala intorno al 1300, la Famiglia Fici per secoli ha ricoperto ruoli primari nella vita Sociale- Politica ed Economica della città.

Giurati, Capitani di Giustizia, Miles, Membri della Santa Inquisizione sono solo alcune cariche ricoperte da  membri della Famiglia.

Inizialmente fu il cospicuo patrimonio accumulato a permettere alla famiglia l’accesso all’Alta Società.

Matrimoni con famiglie influenti quali i Ferro, i Bitino, Naso, Grignano non fecero altro che accrescere il potere della famiglia che, oltre alla ricchezza, aspirava anche alla nobiltà.

Fu grazie all’intervento di Vincenzo Sala, giurato della città di Marsala, che nel 1695, con una attestazione di nobiltà di “Toga o Magistratura” ( aver partecipato la famiglia ad almeno 200 anni nel governo cittadino) ad aprire le porte per l’ammissione all’ordine dei Cavalieri di Malta. 

Successivamente,  Antonio figlio di Mario espletava le pratiche per il riconoscimento nobiliare che veniva concesso nel 1713 quale  “titolo di  Duca”.

Ma come si sa l’ostentazione della ricchezza e il prestigio spesso attirano invidie e attenzioni da parte di gruppi malavitosi.

RAIMONDO SFERLAZZA

Già dai primi del 700,  la Fame o la Brama di ricchezza spingeva, soprattutto nell’Agrigentino, alcuni gruppi di facinorosi a unirsi in Bande criminali seminando  morte e terrore.

A pagarne le conseguenze principalmente erano le famiglie Ricche o Benestanti.

Minacce e sequestri i mezzi adottati per convincere i malcapitati a cedere ai loro ricatti.

Come riportato dal Marchese di Villabianca e da Giovanni Evangelista Di Blasi, tra i più pericolosi briganti che operavano in molte province del Regno di Sicilia primeggiava il ventiseienne Raimondo Sferlazza, Chierico-Diacono – nativo di Grotte che per motivi passionali aveva abbandonato la vita spirituale per darsi al brigantaggio.

Coadiuvato da una trentina di briganti, appellato “ il Re della Campagna”, anche lo Sferlazza seminava terrore in molte province del regno.

Il Sequestro del Barone Antonio Puccio a Petralia Sottana; Il sequestro del Barone Pietro di Figlia finito in modo tragico con l’assassinio dello stesso; sono solo alcuni esempi delle attività criminali della Banda.

IL SEQUESTRO FICI

Il 15 Novembre del 1726 anche il Duca Fici venne attenzionato dalla banda.

Giunti nella casa di campagna i briganti, dopo aver ucciso Giacomo di Martino capomastro di 45 anni circa che insieme al duca si trovava nella casa, intimarono di  aprire le porte e di essere rifocillati.

Ricevendo un diniego da parte del Duca, lo Sferlazza minacciò di appiccare il fuoco al baglio (probabilmente Baglio Catalano o Baglio Grande – Ciavolotto) se non si fossero accettate le sue richieste.

Baglio Catalano Fici -Foto Vito Zito

Dovendo fare buon viso a cattivo gioco il Duca incaricò il figlio secondo genito Vincenzo, Cavaliere dell’Ordine di Malta, a trattare con i briganti.

La richiesta iniziale fu di 1600 onze (approssimativamente 288.000 Euro odierne) che a seguito  contrattazioni fu ridimensionata in 650 onze.

A garanzia di pagamento i briganti sequestrarono il Cavaliere rimettendolo in libertà solo dopo aver ricevuto l’intero riscatto.

CATTURA E MORTE DELLO SFERLAZZA

Stanchi e impauriti dalle continue incursioni, soprattutto i nobili, sollecitarono il Vicerè a prendere urgenti provvedimenti..

Il 7.4.1727, viste le continue sollecitazioni della classe nobiliare e il malcontento della popolazione costantemente impaurita dalle attività banditesche ( ” nessuno stimavansi sicuro di sua persona anche dentro il proprio foco”) incaricò il Principe della Cattolica “Francesco Bonanno e del Bosco (consigliere di Stato dell’allora re di Sicilia Carlo VI-Imperatore) ad  attuare un piano di ricerche per porre fine alle incursioni.

Il Bonanno alla testa di numerosi soldati e assistito dal ministro “Francesco Gastone” riuscì ad intercettare lo Sferlazza che, insieme a sei complici, si era rifugiato in una grotta del territorio di Alimena (PA).

Dopo un aspro conflitto a fuoco nel corso del quale una palla sparata da un archibugio aveva ferito il brigante alla bocca  tranciandogli la lingua, Sferlazza fu catturato e dopo un sommario processo impiccato nel “campo d’armi di Canicatti”.

Perchè servisse da monito alle altre bande criminali il corpo fu smembrato e in quarti inviato nelle zone ove aveva operato i suoi crimini per essere esposto.

La testa inizialmente portata in Palermo e condotta per la città in cima ad una canna fu successivamente inviata a Marsala ed esposta, fino al 1863, entro una gabbia di ferro infissa sullo spigolo del palazzo ad angolo con la Via Caturca.

Via Caturca

L’oscillare della gabbia al vento fece si che una traccia semicircolare fosse ben visibile fino all’ultimo restauro del palazzo avvenuto in tempi contemporanei.

(Antonino Ampola)